TRIBUNALE ORISTANO, SEZ. CIVILE,
SENTENZA N. __/22, DEPOSITATA IL 26.4.2021, RIGETTA.
ATTORI: coniugi M.M. e M.M.C.
CONVENUTI: sig. G.F. e sig.ra F.E.F, rappresentata e difesa dall’avv. Piero Franceschi,
ESTRATTO:
Gli attori hanno mosso ai convenuti l’addebito di aver taciuto, con dolo o colpa grave, nel corso di una
contrattazione preliminare, l’esistenza di circostanze ritenute rilevanti ai fini della valida manifestazione
del consenso degli attori, la cui volontà è stata violentata, coartata e compromessa, con conseguente
richiesta di risarcimento dei danni provocati.
Il moderno orientamento giurisprudenziale che valorizza l’importanza degli obblighi informativi in fase
precontrattuale ammette la possibilità di configurare una forma di responsabilità precontrattuale anche
in caso di conclusione di un contratto valido ed efficace, sulla falsariga della previsione di cui all’art.
1440 c.c. in tema di dolo incidens, essendovi la possibilità di chiedere il risarcimento del danno patito
per effetto di tale comportamento scorretto commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior
aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede (v.
Cass., Sezioni Unite, n. 267724/2007).
Al contempo, esso configura un’ipotesi cui risulta parimenti sussumibile, in astratto, la fattispecie
descritta con riferimento alla incapacità di agire di G.F., laddove impone alla parte che, conoscendo una
causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte, l’obbligo di risarcire il danno
provocato. E tuttavia, benché l’art. 1338 c.c. si estenda ai casi di inefficacia del contratto -quale, al più,
può essere ascritto il caso in esame, trattandosi non di invalidità, ma di inefficacia relativa parziale
dell’atto negoziale rispetto ai creditori e di inopponibilità al fallimento ex art. 44 L. fall. con riguardo
alla quota di proprietà di G.F., il quale si è validamente vincolato nei confronti del M. e della C.-, non
sussistono in concreto i presupposti per la sua applicazione, che comporta il risarcimento del danno
precontrattuale costituito dall’interesse negativo a non essere coinvolto in attività negoziali inutili,
postulando un petitum totalmente difforme da quello effettivamente domandato dai promissari
acquirenti.
L’aspetto relativo alla presenza di formalità pregiudizievoli sull’immobile, identificate col pignoramento
trascritto dall’INPS e con la procedura esecutiva, asseritamente sottaciute dai promittenti venditori,
avrebbe potuto fondare un’eccezione di inadempimento o una responsabilità contrattuale mediante il
rimedio previsto dall’art. 1489 c.c., ritenuto ormai applicabile anche al contratto preliminare di
compravendita, ma è privo di concreta rilevanza ai fini del decidere, rimanendo neutro ed ininfluente
nella sequenza causale addotta, stante l’assenza di nesso di causalità tra la mancata informazione ed il
danno così come lamentato, su cui non ha inciso in alcun modo l’evizione limitativa.
L’omessa comunicazione circa l’intervenuto fallimento di uno dei promittenti venditori non ha causato
il danno prospettato ed imputato ai debitori: è decisivo rilevare che, indipendentemente dall’ignoranza
della circostanza al momento della conclusione del contratto preliminare, gli attori, pienamente
consapevoli della situazione, non si sono rifiutati di portare a compimento l’operazione avvalendosi di
rimedi atti ad eliminare il contratto dalla realtà giuridica ed a conseguire gli effetti restitutori o
risarcitori, ma hanno valutato come preminente l’interesse alla prestazione ed hanno volutamente posto
in essere una ulteriore attività negoziale volta a conseguire il risultato finale, manifestando una volontà
scevra dai vizi denunciati, in modo tale da superare la problematica connessa al vulnus informativo
realizzato nella contrattazione preparatoria e da convalidare anche il precedente contratto asseritamente
viziato.
Per un verso, il sig. M. ha acquistato all’asta giudiziaria la quota di comproprietà dell’appartamento di
spettanza di G.F. per il prezzo di € 39.300,00 e, per altro verso, unitamente alla moglie, ha stipulato un
contratto di compravendita in relazione al restante 50% intestato a F.E.F., pattuendo, in piena autonomia
negoziale, il prezzo di € 109.500,00 per la vendita di detta quota, rideterminato rispetto a quello
convenuto in sede di contratto preliminare, che prevedeva il totale di € 140.000,00 per l’intero
immobile.
Come emerge dal testo dell’atto pubblico di compravendita le parti hanno infatti pattuito il prezzo “della
presente vendita” in € 109.500,00 e la parte venditrice ha dichiarato di aver ricevuto in precedenza
l’intera somma dalla parte acquirente, rilasciando quietanza: a tale pattuizione deve essere attribuita
prevalenza, avendo le parti disciplinato detto elemento nell’ambito di un contesto completamente
mutato rispetto a quello iniziale, dando luogo a una nuova regolamentazione del complessivo assetto di
interessi a distanza di cinque anni, successivamente all’ottenuta aggiudicazione della quota di ½ all’asta
fallimentare, imputando espressamente al prezzo di detta compravendita i pagamenti già effettuati (ivi
compresi quelli corrisposti a mezzo di assegni emessi all’ordine di G.F.).
Essendovi divergenza di contenuto tra i due contratti con riguardo ad un elemento già disciplinato, deve
ritenersi che nel caso di specie la contrattazione definitiva assorba quella preliminare e costituisca
l’unica fonte dei diritti e degli obblighi, dovendosi presumere che la disciplina del rapporto difforme da
quella prevista nel preliminare sia conforme alla volontà dei contraenti, che perciò deve valere.
È principio consolidato quello per cui ove alla stipula di un contratto preliminare segua ad opera delle
stesse parti la conclusione del contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle
obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare resta superato dal
contratto definitivo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella
pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l’unica
regolamentazione del rapporto da esse voluta. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla
volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova -che deve
risultare da atto scritto ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili, trattandosi di atti soggetti alla
forma scritta ad substantiam- di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla
stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare,
sopravvivono al contratto definitivo, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di
detto distinto accordo (Cass. n. 9063 del 2012; conformi, Cass. n. 7064 del 2016 e n. 30735 del 2017).
Nel caso in oggetto, a fronte di una previsione tanto chiara e frutto di una evidente rinnovata valutazione
delle parti su un elemento fondamentale quale il prezzo dello scambio, il testo del contratto preliminare
non può nemmeno offrire validi elementi per una diversa interpretazione del contratto definitivo di
compravendita ex art. 1362 c.c., così come propugnata da parte attrice in tutti i propri scritti difensivi,
che non trova margini di riscontro (tra l’altro, si consideri che il contratto di compravendita è stato
stipulato a distanza di cinque anni e non dà atto nelle sue premesse di costituire attuazione del contratto
preliminare). Né gli attori, onerati della prova sul punto, hanno superato la presunzione nei termini
poc’anzi indicati, essendosi limitati ad allegare in maniera del tutto generica di essere stati costretti ad
inserire una clausola di tale tenore, senza che tale asserzione sia stata accompagnata, ancor prima che
dalla dimostrazione, dalla illustrazione delle ragioni sottostanti, le quali non possono essere certamente
ricondotte alle omesse informazioni ed alla coartazione della volontà dedotte con riferimento al
pregresso contesto in cui si è inserita la contrattazione preliminare.
La differenza versata a titolo di prezzo per il trasferimento dell’intera proprietà dell’immobile rispetto a
quella prevista in sede preliminare non può configurare un danno risarcibile in favore degli acquirenti,
quale maggior aggravio economico asseritamente prodotto per effetto del comportamento doloso dei
convenuti; senza considerare che, per la quota di G.F., gli attori hanno di fatto sborsato meno di quanto
originariamente pattuito, sicché è difficile sostenere che l’operazione si sia rivelata sconveniente.
È evidente, pertanto, che il profilo in commento non attiene ad una responsabilità correlata alla
violazione dell’obbligo informativo denunciato, ma, piuttosto, al piano delle obbligazioni assunte ed alla
conseguente responsabilità contrattuale per inadempimento ex art. 1218 c.c., che esula dall’addebito
imputato ai convenuti e dalla causa petendi concretamente azionata, delimitativa del potere-dovere del
Giudice ai sensi dell’art. 112 c.p.c.
In conclusione, la domanda attorea deve essere integralmente rigettata.