Compensi ai Revisori dei Conti degli enti regionali. Retroattività ed omnicomprensività

T.A.R. Sardegna, sezione seconda,

sentenza n. 539/20, depositata il 9.10.2020, accoglie.

Ricorrenti G.T. + 6 rappresentati e difesi dall’avv. Piero Franceschi, c/ A. e R.

Estratto:

Con il primo motivo i ricorrenti argomentano come segue.

Prima dell’adozione degli atti impugnati, i ricorrenti sono stati remunerati, nella loro qualità di Sindaci di A., sulla base della tariffa professionale dei dottori commercialisti e revisori dei conti, seppur dandosi provvisoriamente applicazione al limite massimo d’importo di € 32.000 e € 36.000 fissato dalla delibera G.R. 28/10.

Al contrario, affermano i ricorrenti, l’applicazione delle norme regionali -tuttora vigenti- in materia impone di applicare, senza prevedere limiti, le tariffe professionali di cui al D.M. 169/10 (finché sono rimaste in vigore) e i parametri di cui al D.M. 140/12.

Infatti, la nomina dei ricorrenti (delibera G.R. n. 15/4 del 13.4.2010 e D.P.G.R. n. 72, del 7.6.2010) è stata disposta senza un’espressa e diretta indicazione del quantum del compenso ma con rinvio formale all’art. 6 della L.R. n. 20/95.

La delibera con la quale la Giunta regionale si è pronunciata sulla misura dell’indennità di carica è la n. 27/45, del 19.6.2012, la quale ha stabilito che “i compensi da attribuire ai componenti degli organi di controllo e/o di revisione degli enti, agenzie e organismi societari partecipati e/o controllati dalla Regione, sono determinati in relazione ai minimi previsti dalle vigenti tariffe professionali”.

Dunque gli atti impugnati, secondo i ricorrenti, sono anzitutto illegittimi nella parte in cui non si attengono alle norme e contraddicono con gli atti amministrativi che hanno stabilito nella misura dei minimi delle vigenti tariffe professionali (e, quindi, ora, dei parametri ministeriali) la misura dei compensi dei ricorrenti.

Proseguono i ricorrenti nel senso che la novella apportata alla L.R. n. 20/95 dalla L.R. n.  10/13 determina il mantenimento del regime dei minimi della tariffa professionale e obbliga a continuare a dare applicazione alla delibera 27/45.

La tardiva emanazione del decreto del Presidente della Giunta n. 113 non poteva privare i ricorrenti del diritto di percepire le competenze calcolate in tale misura.

In definitiva, secondo i ricorrenti, la normativa sopravvenuta può trovare applicazione unicamente per i compensi maturati dopa la sua entrata in vigore, mentre quelli maturati in precedenza, devono essere liquidati sulla base dei criteri allora vigenti.

Con il terzo motivo i ricorrenti affermano quanto segue.

La questione è solo apparentemente complicata dall’introduzione della disposizione dell’ art. 3 della L.R. n. 10/13. La delibera della G.R. 30/7, sulla scorta di generici richiami al principio di contenimento della spesa pubblica, ha dato applicazione a tale norma interpretativa affermando che avrebbe attribuito ai componenti degli organi di controllo e revisione l’indennità di carica determinata “nella misura e nei modi” indicati nella delibera 15/22, del 29.3.2013, con decorrenza dall’ entrata in vigore dalla L.R. n. 12/11 e che questa sarebbe applicabile anche ai componenti degli organi nominati prima purché ancora in carica a tale data, come appunto sarebbe anche il caso dei ricorrenti.

Se così fosse, affermano i ricorrenti, ci si troverebbe di fronte ad un palese vizio di diversità di trattamento rispetto a quei sindaci-revisori ai quali, sino alla deliberazione 30/7, è stato applicato il disposto delle delibere 27/45 e 28/10. Si deve però ricordare che, con la predetta delibera 15/22, la Giunta regionale, dopo aver affermato “l’incongruità del tetto massimo ai compensi liquidabili” fissato con la precedente delibera 28/10, del 26.6.2012″, ha disposto anche quanto segue:

-di revocare l’indirizzo dettato dalla giunta con deliberazione 27/45, del 19.6.2012, limitatamente alla parte in cui prevede la determinazione dei compensi degli organi di controllo degli oneri di revisione in relazione ai minimi delle tariffe professionali;

-di prendere atto dell’efficacia temporalmente limitata della delibera 28/10, del 26.6.2012, volta non a regolare stabilmente la materia ma a fissare dei criteri per le nomine da effettuarsi nelle more dell’espletamento delle ricognizioni e degli approfondimenti dalla stessa previsti, validi fino all’assunzione di parte e conseguenti determinazioni da parte della Giunta regionale;

-di stabilire un nuovo tetto per i compensi dei componenti degli organi di controllo e/o degli enti, agenzie e organismi regionali, determinando, in particolare, il compenso dei componenti degli organi di controllo e degli organismi di revisione di enti, agenzie e organismi regionali (Presidente € 16.000; componente collegio sindaci revisori € 12.000);

-di sancire che i compensi degli organi di controllo e degli organi di revisione, quali finora nominati, restino determinati sulla base della normativa vigente all’atto della nomina, seppure successivamente abrogata.

Sennonché, sostengono i ricorrenti, tale delibera non può trovare applicazione nella fattispecie, perché era previsto che trovasse applicazione solo dal primo rinnovo degli organi di controllo e degli organi di revisione successive alla data di approvazione della medesima.

Con il quarto motivo i ricorrenti argomentano come segue.

Dall’interpretazione finora sostenuta, il combinato disposto della L.R. n. 10/13 e della delibera 15/22 non incide negativamente sulla posizione dei ricorrenti.

Se questa interpretazione non è condivisa, in subordine i ricorrenti deducono altre censure.

I compensi dei sindaci-revisori devono essere determinati applicando le tariffe professionali e i parametri ministeriali, in assenza di validi ed efficaci criteri normativi ad hoc, i quali non possono essere retroattivi.

La Giunta regionale e il Presidente della Regione non hanno provveduto appena emanata la L.R. n. 12/11 e non può sanarsi retroattivamente la situazione pregressa, essendo trascorso un tempo eccessivo e incompatibile con le esigenze dell’istruttoria e con l’affidamento riposte dagli interessati circa l’applicabilità delle tariffe professionali.

Le medesime censure si devono in questo caso formulare nei confronti della delibera G.R. 30/7, del 30.7.2013, che ha dato, secondo i ricorrenti erroneamente, attuazione alla L.R. n. 10/13 e del D.P.G.R. 113, del 5.8.2013, con cui sono stati per la prima volta fissati i compensi dei sindaci-revisori.

Ma è la stessa L.R. 10/13, nell’interpretazione che parrebbe averne dato la Regione, ad essere viziata per contrasto con gli artt. 3 della Costituzione e 6 della CEDU, in relazione all’art. 117 della Costituzione sui rispetto degli accordi internazionali.

La retroattività di una disposizione, per essere legittima, deve trovare la propria giustificazione in motivi di interesse generale preminente. Nella specie, invece, la retroattività dell’applicazione della L.R. n. 12/11 per estenderla anche ai componenti degli organi di controllo e di revisione nominati prima dell’entrata in vigore della legge stessa, a far data dall’entrata in vigore della medesima, lede il principio dell’intangibilità dei diritti già maturati dai ricorrenti, quantomeno fino al momento dell’adozione della delibera 30/7. Tanto più che la previsione di situazioni giustificate soltanto ratione temporis costituisce un vulnus della parità di trattamento e viola il principio di uguaglianza.

Con il quinto motivo i ricorrenti argomentano come segue.

Con particolare riferimento alla delibera 49/11, per quanto attiene al limitato profilo della onnicomprensività dei compensi illogicamente e arbitrariamente estesa (in mancanza di espressa previsione di legge) fino a includere anche l’addizionale Cassa di previdenza e I’IVA (nonché i rimborsi spese), si deduce quanto segue.

Tale interpretazione sarebbe errata, specie alla luce della previsione dell’art. 10 della L.R. n. 4/14, che ha stabilito le indennità di carica per i revisori della nuova Agenzia ARBAM precisando che l’art. 4-bis della L.R. n. 20/95 (si tratta del comma 4-bis dell’art. 6), è da interpretare nel senso che sono esclusi I’IVA e gli oneri previdenziali.

I compensi, qualunque sia la loro misura, devono intendersi al netto dei rimborsi, degli oneri previdenziali e dell’IVA.

Nel merito il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.

Nonostante l’apparente complessità della vicenda si possono individuare i punti risolutivi:

1) la Regione ha provveduto alle nomine richiamando la legge che regolava l’organizzazione degli enti;

2) il criterio per la determinazione dei compensi era quello delle tariffe professionali;

3) la delibera della G.R. 27/45 aveva stabilito di applicare i minimi delle tariffe in attuazione della L.R. n. 12/2011;

4) le modifiche allo statuto di A. sono entrate in vigore successivamente alla nomina dei revisori;

5) è del tutto pacifico che il compenso “omnicomprensivo” dei Revisori, deve intendersi al netto dei rimborsi, degli oneri previdenziali e dell’IVA posto che ben differenti sono i concetti di omnicomprensività del compenso dei revisori e di omnicomprensività dello stipendio dei pubblici dipendenti; va precisato, anche se parrebbe ovvio, che quando si parla di omnicomprensività ci si riferisce al fatto che eventuali attività complementari ed accessorie – che pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell’incarico risultino tuttavia strumentali all’accertamento dell’incarico – non danno spazio ad un ulteriore compenso commisurato al tempo;

6) la posizione della Regione ha fondamento solo a partire dal DPGR n. 113 del 2013 (cioè 28.8.2013).

In definitiva, prima di quella data non esisteva nessuna giustificazione atta a consentire la riduzione a € 12.000 del compenso spettante ai componenti dei Collegi dei Revisori, in vigenza delle tariffe professionali e dei parametri, seppur col tetto di € 30.000 di competenze (al netto degli accessori).

Nei limiti appena indicati il ricalcolo effettuato è da considerarsi illegittimo e quindi l’atto deve essere, sempre in quei limiti, annullato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.